Colline rosso sangue

Colline rosso sangue

 Alfio è in piedi, con una coscia appoggiata al tavolo in legno dai decori elaborati. Stringe le carte su cui sono riportate le condizioni di separazione dalla moglie. La sua immagine è riflessa in uno specchio antico. Alza lo sguardo, si vede vecchio, distrutto. Eppure è un distinto uomo di mezza età, è alto e ha i capelli scuri appena brizzolati, e gli occhi azzurri sulla carnagione olivastra rendono affascinante la sua figura. Nel silenzio dell’ufficio di direzione della cantina I Coppi Rossi, il suo sguardo vaga e si posa su alcune fotografie sbiadite, preziosamente incorniciate. Gli torna in mente la professoressa di filosofia del liceo: «Ogni fotografia della nostra vita, per brutta che sia, mal scattata, fuori fuoco e sbiadita dal tempo, parla al nostro cuore per la magnificenza dell’attimo vissuto, tanto da rendere vivo in noi il ricordo». Alfio ricorda anche la voce dotta e suadente dell’insegnante di allora. Quanto aveva ragione.  

Il nuovo giallo di Mauro Rivetti ha i toni di una tragedia shakespeariana al nebbiolo, una vicenda familiare che prende le mosse nel 1967, dove una giovane madre, sola, fugge dall’ospedale con il bambino appena nato, disperata.

Quel bambino, anni dopo, sarà un importante imprenditore vinicolo e lei ricca e agiata. Ma nubi nere incombono, morti misteriose si susseguono, Agata stessa viene rapita, e con lei trafugata una statua. Alfio, abbandonato dalla bellissima moglie, precipita nell’incubo più nero, il sangue sembra scorrergli al fianco.

Teresa Bianco, pubblico ministero, scopre che l’orrore arriva dal passato, da quelle lontana fuga di Agata dall’ospedale di Cuneo. Ma occorre fare in fretta, perché la morte continua mandare segnali, e Alfio stesso dovrà essere la vittima, mentre il peso di una colpa antica e devastante si abbatte sulla famiglia.

La drammaticità degli eventi si stempera tra i rinomati paesaggi UNESCO di Alba Langhe e Roero e Monferrato.

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